Aldo Ferrari
Milano, Carocci, 2007, 152 pp.
Questo libro di Ferrari è un contributo storiografico di grande rilievo, perché costituisce la prima sintesi storica dedicata al Caucaso nel suo insieme. Da sempre, infatti, la forte differenziazione esistente tra la parte meridionale del Caucaso e quella settentrionale ne hanno scoraggiato lo studio in un’ottica unitaria ed in un arco cronologico che vada dalle origini ai giorni nostri. È questo invece il compito che si è proposto Ferrari e che ha portato a termine con successo. Fra i meriti del libro, va anzitutto segnalata l’ampia bibliografia, l’equilibrio con cui Ferrari si muove fra visioni storiografiche confliggenti, la perizia con cui affronta i difficili problemi di trascrizione di nomi di persone, popolazioni e luoghi di un’area che è linguisticamente una delle più ricche al mondo e dove ogni scelta si connota inevitabilmente in una precisa direzione storica o politica. Vorrei brevemente accennare alla innovativa scelta terminologica per cui Ferrari ha scelto di parlare di Caucaso settentrionale e non di Ciscaucasia e di Subcaucasia per la zona meridionale, proprio per uscire da un’ottica russocentrica, che implicherebbe già una scelta di posizionamento. Ferrari traccia una storia della regione che tiene conto del profilo geografico, etnografico, linguistico, religioso e che non trascura nessuna epoca storica. Dopo avere trattato l’epoca antica e quella medioevale, si concentra su aspetti fondamentali delle vicende che hanno avuto luogo fra il XVII ed il XIX secolo, fra l’epoca di Pietro il Grande e quella dell’ultimo zar Nicola II, in cui è avvenuta la conquista russa del Caucaso, che lo zarismo ha tentato di controllare, ma non è riuscito ad integrare nell’Impero. Di questo processo egli traccia un’ampia panoramica che ci conduce direttamente ai problemi attuali, evidenziando molto bene la questione del rapporto continuità/rottura fra esperienza russa, sovietica e post-sovietica. E senz’altro la parte che Ferrari dedica al Caucaso contemporaneo è di grande interesse data l’odierna rilevanza geopolitica e strategica di questa regione che si colloca al centro del cosiddetto grande medio oriente e cioè lo spazio ricchissimo di risorse energetiche che va dalle coste orientali del Mar Nero alle frontiere della Cina. Come ricorda Ferrari l’esito più appariscente della dissoluzione dell’URSS è stato l’indipendenza delle tre repubbliche subcaucasiche Georgia, Armenia, Azerbaigian, mentre il Caucaso settentrionale è rimasto all’interno della Federazione russa, riproponendo una divisione tradizionale, vieppiù complicata dalla dinamiche proprie del periodo di transizione fra l’epoca sovietica e quella attuale, in una regione in cui si gioca una complessa partita internazionale. In questo scenario il principale protagonista resta inevitabilmente la Russia, che da un lato vuole tenere Caucaso settentrionale nei suoi confini, per evitare un moto centrifugo da parte di altre Repubbliche, e dall’altro cerca di parare in Subcaucasia l’influenza di Stati Uniti ed Unione Europea. La penetrazione statunitense nel Caucaso è infatti una realtà sviluppata su diversi livelli: il progetto di collegare il petrolio ed il gas dell’Asia centrale con il Mediterraneo, costituendo una via della seta del XXI secolo, è infatti estremamente seducente per gli Stati Uniti che taglierebbero fuori la Russia. L’intenzione di impedire una ricomposizione dello spazio ex-sovietico è del resto un obiettivo che gli Stati Uniti possono ragionevolmente condividere con alcuni paesi ex-sovietici, quali per esempio Georgia, Uzbekistan, Ucraina, Azerbaigian e Moldavia (complesso di paesi designato con l’acronimo GUUAM) e senz’altro con i paesi ex-satelliti ora entrati nell’Unione europea cui non sorride la prospettiva di vedere la Russia reintegrata nel ruolo di grande potenza ai confini con l’Europa e quindi potenzialmente minacciosa. In questo contesto, la spinosa questione del Caucaso settentrionale, in cui rientra la martoriata Cecenia viene trattata con competenza ed equilibrio. Nel capitolo dedicato alla Subcaucasia attuale, Ferrari offre poi un ricco quadro dei rapporti fra Georgia, Armenia, Azerbaigian a livello interregionale ed internazionale, che fa giustizia di molte frettolose analisi avanzate nel primo periodo post-sovietico. La propensione filo-occidentale di Georgia e Azerbaigian è proporzionale alla riluttanza ad entrare nell’orbita di Mosca. Diversa è invece la posizione dell’Armenia, che ha una collocazione geopolitica estremamente delicata. I contenziosi aperti con Georgia ed Azerbaigian, il problema sempre presente d’una Turchia che con il crollo dell’URSS e l’avvicinamento alla UE si è fatta più vicina, hanno ridotto i suoi spazi di manovra, compromettendo possibilità d’accordo con i vicini e finendo per legarla all’asse Mosca-Teheran più di quanto avrebbe desiderato. Nonostante le divisioni, tutti e tre i paesi della Transcaucasia guardano con speranza ed interesse all’Europa, che tuttavia è rimasta in secondo piano rispetto a Russia e Stati Uniti, consapevole di non avere gli strumenti per reggere un coinvolgimento nelle questioni di sicurezza, fatti salvi gli interventi dell’OSCE per attenuare i conflitti interetnici. La sua politica è stata volta all’incremento della cooperazione economica, mentre è mancata una visione strategica su quest’area, che tuttavia sarà necessario mettere a punto nel prossimo futuro, perché il Caucaso, anche se sempre diviso fra Nord e Sud, è ritornato ad essere una frontiera tutt’altro che marginale fra il Vicino Oriente e il mondo euroasiatico: il rischio è che diventi una faglia geopolitica, occasione più di conflitto che di sviluppo.
Giulia Lami